“Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei»” (Lc 23,35-43).
La scelta della liturgia di proporre per la festa di Cristo Re il brano di Gesù in croce è significativo e ci fa riflettere sul senso della regalità di Gesù.
Niente corone d’oro, vestiti sontuosi, ermellini preziosi, battiti di mano, squilli di trombe, cerimonie splendide, ma Gesù in croce, ai suoi piedi un popolo ammutolito, capi che lo deridono, soldati che gli danno aceto, un ladro che inveisce, unico gesto di pietà: un ladro che chiede misericordia e ottiene il paradiso.
In verità, la liturgia sottolinea, attraverso la prima lettura di Sam 5,1-3, che Gesù appartiene ad una dinastia gloriosa: è discendente di David, il Re d’Israele (2Sam 5,1-3; Rom 1,3; Gv 7,42).
Ciò è vero, perché Gesù realizza la sua missione di salvezza come “l’eletto di Dio”, il Messia che porta la salvezza a tutti e annuncia la buona notizia ai poveri, ai sofferenti e a tutti coloro che hanno bisogno di luce e di amore. Ma egli non è il “Messia glorioso” di quei Sommi Sacerdoti che ora schiamazzano sotto la sua Croce e lo deridono.
Ma “il Figlio, che imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek” (Ebr 5,8-10).
È il “Servo di Jahwé”, che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,4-5).
A motivo di ciò, tre idee dominano in questo brano evangelico: la solidarietà di Gesù, tenere fisso lo sguardo su Gesù, seguire Gesù per la via della croce. “Siamo tue ossa e tua carne”: sulla Croce, Gesù è stato solidale con noi, suoi fratelli, bisognosi di aiuto.
Niente idee di “sostituzione”, di “espiazione” o di “sacrificio”.
L’idea dominante è quella molto cara anche a Paolo e Luca: Gesù è il go’el familiare, il parente intimo che deve riscattare e liberare i suoi fratelli, resi schiavi dal peccato e dalla morte.
Cristo si è fatto solidale con i suoi fratelli e per essi ha sacrificato il suo corpo, ha versato il suo sangue. Ha accettato la lotta contro Satana e nella sua morte per amore nostro l’ha sconfitto definitivamente e ci ha aperto la via della vita.
Gesù regna e invita i suoi discepoli a seguire il suo esempio: la sua morte ha valore esemplare per tutti coloro che si uniscono a lui e con lui compiono la volontà di Dio, il progetto salvifico di amore.
Per questo, il nostro sguardo di fede è sempre rivolto a Gesù crocifisso. “Teniamo fisso lo sguardo su Gesù”: lui è la nostra salvezza. Egli è all’origine della nostra fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio” (Ebr 12,2).
Accettando la passione e la morte, Gesù ha percorso per primo la strada della salvezza, quella strada che i discepoli debbono percorrere se intendono essere partecipi della salvezza ed entrare con lui nella gloria. Per essere discepolo non basta compiere un gesto straordinario di fedeltà e di donazione amorosa, ma occorre impostare tutta la propria vita su quella di Gesù.
Gesù precede lungo la via che sale a Gerusalemme e il discepolo gli deve andare dietro condividendo con il proprio Signore passione, morte, resurrezione e glorificazione. Seguiamo Gesù per la via della Croce: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.” (Lc 9,23-24).
La Croce accettata da Gesù è il segno che Dio ci offre per comprendere tutto il suo amore misericordioso: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui” (Rom 5,8-9).